Castel Manardo, Monte Acuto, Pizzo Tre Vescovi e monte Amandola

Una cavalcata pressochè di cresta su una delle dorsali più a Nord dei Sibillini.
Una giornata stupenda, sempre alti sulle colline marchigiane, gli orizzonti che vanno dal preappennino fabrianese al monte Conero sul mare, dai monti Gemelli al Gran Sasso; scorribanda su una lunga dorsale, ampia, quasi piatta e poi ardita, sottile e a precipizio sulla valle del Fargno. Un susseguirsi di vette e creste come solo i Sibillini sanno darti. La Priora da qui è imperiosa, enorme, la valle dell'Ambro stretta e da esplorare!


Fu l’ultima escursione prima del lockdown di Marzo, raggiungemmo il minimo obiettivo ma fu una escursione al buio perchè tutto ci fu precluso dalla fitta nebbia in quota che non ci abbandonò un secondo; intuimmo che stavamo perdendo degli scorci davvero belli da angolazioni che non conoscevo, abbiamo sperato fino all’ultimo che qualche folata più forte aprisse degli spiragli ma non è stato così, arrivammo in vetta al Castel Manardo ma fu come inseguire la traccia di Pollicino, dove al posto di sassolini e molliche di pane usammo i paletti di confine del parco dei Sibillini. Giurai di tornarci presto, i Sibillini da quella posizione, da quel versante non li avevo mai visti e non poteva proprio essere così. Oggi al contrario è stata una giornata dalla limpidezza incredibile, quasi priva di nuvole ed è valso ogni passo fatto ed ogni metro salito. Raggiungiamo in auto il rifugio Città di Amandola, 1200 mt di altezza, la prima cosa che ci colpisce sono i riflessi dell’Adriatico dietro il monte dell’Ascensione, e il profilo dei vicini monti Gemelli che ci si esalta. Il sentiero 241 sale a sinistra del rifugio per un centinaio di metri e dopo una serie di tornanti per recuperare facilmente dislivello prende a traversare verso Nord il lungo paginone del monte Amandola; tratti di ampio sentiero, altri in cui fila esile in coincidenza del profilo più ripido del versante, raggiunge quota 1500 (+1,10 ore) dove abbandona il versante Nord ed entra nelle linee morbide delle praterie alle falde della cima del monte Amandola; si supera la traccia e la dorsale che sale la vetta e si continua a destra su ampia carrareccia per una trentina di metri, un ometto sulla sinistra ed una intaglio sul greto del pratone sono il punto dove prendere a sinistra. Sopra una arsa prateria si intuiscono ben presto le linee delle creste della Priora e più lontano del Berro, quelle linee che avevamo perso nella precedente occasione, mi sa che ne vedremo di belle. Praterie, leggere ondulazioni e più lontano a sinistra la tonda (da qui) vetta del monte Amandola col profilo della sua croce, seguiamo le paline poste a distanza regolare e la traccia sottile fino a raggiungere la carrareccia mezzo chilometro più avanti nei pressi del Casale Grascette; prima di raggiungerlo tagliamo a destra, senza sentiero, e raggiungiamo l’evidente intaglio del versante una cinquantina di metri più in alto, ci scorre la carrareccia che abbiamo lasciato prima e che continua per raggiunge altri stazzi. La seguiamo per circa mezzo chilometro, un paio di ampi tornanti fino ad incrociare le paline di confine del parco, si può prendere a seguirle a sinistra e farsi tutto il mammellone fino alla vetta oppure si può continuare sulla sterrata e dopo un ampio curvone, quando si ritorna a sfiorare le stesse paline continuare sulla loro linea fino alla vetta, la differenza è minima e il risultato è del tutto simile. Anche nella nebbia della volta precedente avevamo intuito il tondo profilo di Castel Manardo, quello che non potevamo capire era la vastità degli orizzonti che si godono da questo pulpito, in pratica una delle vette più a Nord del gruppo; salendo lentamente l’interminabile gibbosità i profili dei Sibillini si andavano scoprendo con parsimonia, verso Nord invece grazie anche alla giornata molto chiara gli orizzonti arrivavano fino ai più bassi Appennini del fabrianese col San Vicino in bella evidenza e il monte Cucco ed il Catria più dietro; decisamente più a Nord e come sempre un po’ confuso sulla linea dell’orizzonte si distingueva la scusa sagoma del monte Conero, nel mezzo l’armoniosa distesa delle colline marchigiane. In vetta al Castel Manardo, per la cronaca esterna al parco dei Sibillini, nessuna croce, un palo di un metro circa, qualche pietra intorno, evviva! La vetta, nemmeno sembra tale e chiamarla così fa davvero strano, è praticamente un grande rotondo mammellone che scende molto gradualmente in ogni lato, soprattutto quello Est e Nord; basta però spostarsi di poco ad Ovest che le cose cambiano, la discesa sulla forcella Brassete si assottiglia gradualmente su una dorsale che per qualche tratto diventa stretta e sassosa, precipita sulla sella (+45 min.) che sembra ora incastrata tra la linea appena discesa e quella che dovremo subito risalire, un profilo davvero accattivante, ardito, spigoloso. A Nord il versante precipita sulla valle del Fargo e su Pintura di Bolognola; a Sud, con profili meno ripidi sulla valle dell’Ambro. Dai tondi profili di Castel Manardo quasi improvvisamente ci si trova in bilico tra valloni profondi e sottili aguzze creste che salgono vero il cielo; mutevolezza sibillina. Da sella Brassete la traccia per il Pizzo Tre Vescovi si abbassa e converge sul più ampio sentiero che sale a centro valle; una più flebile, appena percettibile, riesco ad intuirla per la presenza di chi ci ha preceduto ormai su in alto, fila più o meno parallela, ora staccandosi ora avvicinandosi, al sottile profilo della cresta che raggiunge il monte Acuto. Accattivante come è decidiamo di seguirla, solca praterie alte, sempre sicura anche se in alcuni tratti molto irta ed in altri sul filo del versante che precipita verso la valle del Fargno; spettacolare il versante di fronte, quello del monte Rotondo, altra montagna dei Sibillini dalla vetta “mammellosa” ma dai versanti verticali, non si vede invece il rifugio del Fargno, la sella è coperta dai costoni e dalle anticime dell’Acuto che si susseguono molto vicine, in basso scorre ad interrompere i versanti strapiombanti, la sottile linea bianca della brecciata che da Pintura sale al rifugio del Fargno. Molto ripida, mai impossibile, con un po’ di affanno e lentamente raggiungiamo la base della cuspide dell’Acuto, non badiamo alla traccia davvero effimera che sale lo spigolo, la superiamo e ci troviamo nel mezzo del versante molto ripido proprio sotto la vetta; un po’ troppo complicato salire da qui, evitiamo di ritornare sui nostri passi e raggiungiamo la sella successiva da dove prendo a salire, è la mia seconda volta, sulla piccola piramide dell’Acuto (+1,10 ore). Un canalino breve di roccia, altre roccette da salire mani e piedi, la pendenza non è male ma nulla che non sia divertente, i ricordi della prima salita riaffiorano tutti con prepotenza, il piccolo spazio della vetta, i versanti che scivolano via precipitando letteralmente verso valle, come stare su una capoccia di spillo ed intorno avere il mondo. Bellissima montagna! Riscendo un po’ a sinistra rispetto alla linea di salita, qualche ginepro, non serve quasi usare le mani e sono di nuovo sulla sella da dove decido di prendere la traccia che traversa sotto il Pizzo Tre Vescovi, allungo un po’ non salendo diretto per pratoni ma in compenso attenuo di molto la salita, fino a che non mi rompo e prendo a salire puntando in alto, spunta il braccio della croce di vetta, intravedo i colori di Marina che è già in vetta che mi aspetta e arrivo pure io (+30 min.), c’è un popolo che sta bivaccando. Gli orizzonti e le montagne intorno sono di quelli conosciuti, non per questo meno belli, Il Pizzo delle Regina o per chi non ci si ritrova La Priora, è meravigliosa, una montagnona che ogni volta che vengo quassù sembra più imponente, il Bove è il solito paretone ruvido, scuro e cupo e la val Panico un gran bello scivolo che si infila verso il cuore dei Sibillini, prima o poi la dovrò percorrere; sono a casa tra quelle che sento come le mie montagne di sempre. Essere saliti dal versante Est e da Castel Manardo chiarisce e illumina un versante fino a ieri sconosciuto, ho esplorato un altro pezzo di Sibillini e la soddisfazione è la stessa di quando aggiungevo un 2000 alla mia lista personale. Ci mettiamo sotto vento per mangiare qualcosa, riposare e ripassare ogni metro percorso, ogni linea delle montagne e dell’orizzonte. Si mi sento e sono a casa. Dopo una gustosa sosta e quando il ritorno ci comincia a sembrare davvero lungo decidiamo di rientrare, scendiamo sulla traccia “ufficiale”, indietro sulla linea di cresta fino alla forcella Angagnola per prendere poi verso Nord sotto Pizzo Tre Vescovi, fin sotto il monte Acuto; raggiunta la sella che dal monte prende il nome (stranezza della palina che assegna il toponino di sella di Pizzo Acuto) la traccia devia decisamente sulla destra, compie un ampio giro nel mezzo dei pratoni arsi per allungarsi poi di traverso fin sulla sella Brassete (+1,15 ore), da qui, invece di risalire Castel Manardo si devia poco sulla destra puntando uno stazzo già a vista qualche centinaio di metri più in basso e l’inizio dell’ampia carrareccia che prenderemo in salita per rientrare verso monte Amandola. Costante presenza lungo tutto il sentiero, sulla nostra destra, l’enorme parete solcata da tanti fossi del Pizzo della Regina, il sole che si è abbassato dona toni caldi ai colori bruniti, lame di sole tra le poche nuvole incendiamo qua e là quel paginone, da fermarsi e annichilirsi completamente. Tocca davvero farsi violenza per voltare le spalle ad un momento del genere, anche perché davanti abbiamo la lunga carrareccia, che per giunta sale lenta e monotona, sarà forse l’unico momento un po’ noioso dell’escursione; dopo più di un chilometro compare il profilo di Casale Grascette e poi quello del monte Amandola, duecento metri dopo Casale Grascette abbandoniamo la carrareccia, una palina quasi divelta sulla destra ed un marcato sentiero scendono verso l’imbocco del paginone Nord del monte Amandola, è quì che decidiamo di raggiungere anche la sua cima, non c’ero mai stato e abbiamo pensato che ne valesse la pena; per leggere ondulazioni e senza traccia traversiamo verso il profilo della croce che svetta nell’ampissima vetta. Monte Amandola (+1 ora) è un autentico balcone, gli orizzonti tutto intorno vanno dal Conero al mare ai monti Gemelli fino a tutta la dorsale del Gran Sasso, i colori sono attenuati dal sole basso e il pomeriggio avanzato, sono linee e profili ormai quasi in chiaro scuro ad esaltare la fotografia, i dettagli si perdono ma i profili sono grandiosi. Intenso momento che accarezza l’anima, solo se si vive si può comprendere fino in fondo. Riprendiamo a scendere sulla docile linea della dorsale verso Nord e dopo pochi minuti raggiungiamo la traccia che avevamo salito la mattina, è tutto a vista, tutto è semplice; la discesa è obbligata e veloce mentre le ombre si allungano sulle colline marchigiane e la temperatura prende a scendere velocemente. Quando raggiungiamo il piazzale del rifugio Città di Amandola (+ 1ora) ci sono ancora tante famiglie che si gustano gli ultimi momenti della bella giornata, molti si apprestano a scendere e noi con loro, il tempo di rimetterci un po’ apposto e siamo in macchina verso Ascoli. Un gran bel percorso quello di oggi, lungo, quasi 20 chilometri e 1300 i metri di dislivello superati, nuovi scorci per me, da nuovi pulpiti, nuovi angoli e nuove creste mai battute. Sibillini, bellezza davvero infinita.